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"Ricordare Berlinguer è smontare la nostalgia"

Riportiamo di seguito l'articolo di Piacenzasera relativo all'iniziativa del 15 maggio "Qualcuno era comunista perchè c'era Belinguer".

La distanza della politica di oggi da quella di Berlinguer non può essere il pretesto per confinarlo nella sfera della nostalgia, come una sorta di icona astorica. Come ha sottolineato Pierluigi Bersani "oggi lui s'incazzerebbe" nel vedersi dipinto solo così, perchè la sua azione è inseparabile dalla prospettiva politica in cui era immersa e soprattutto dal suo popolo, quello del Pci.

Se n'è parlato nel corso del convegno "Qualcuno era comunista perché c’era Berlinguer. Una riflessione sul leader comunista italiano dopo il trentennale della scomparsa", organizzato dalla Fondazione Piacenza Futuro venerdì 15 maggio, dalle 21, nella Sala dei Teatini.

A introdurre l'appuntamento il presidente della Fondazione, Flavio Chiapponi e il segretario Pd Loris Caragnano, a cui sono seguiti gli interventi di Laura Boella, docente di filosofia morale all'università di Milano, Vanessa Roghi, docente di Visualità e Storia alla Sapienza di Roma, e le conclusioni di Pier Luigi Bersani.

C'è stata una costruzione retorica della figura di Berlinguer, come una sorta di "santino" della questione morale e dell'austerità, che ha finito per limitare la portata della riflessione sulla sua azione politica. E che ha voluto mettere una specie di punto alla sua storia, dopo il suo funerale a cui partecipò una folla immensa di persone. Ma la storia di Berlinguer non s'interrompe con la sua morte, ci parla ancora oggi se ci sforziamo di comprenderla senza ridurla dentro i soliti schemi.

Questo - in estrema sintesi - quanto sostenuto da tutti e tre i relatori, che hanno raccontato Berlinguer da tre prospettive diverse.

Secondo Laura Boella, per Berlinguer la vita vissuta degnamente è stata la risorsa per affrontare il rischio della crisi, perchè l'esperienza del presente come storia ha segnato la sua generazione. La presunta inattualità di Berlinguer soprattutto nella fase finale della sua parabola politica va riconsiderata, non sempre le inattualità e gli anacronismi infatti sono un mero residuo del passato, qualche volta sono anticipazioni del futuro, per questo è necessario smuovere la fissità del presente uscendo dalla cecità.

Vanessa Roghi ha analizzato l'impatto del leader Pci nell'immaginario, in un percorso che ha toccato le varie tappe della sua rappresentazione pubblica. Con l'intento dichiarato di smontare la retorica della nostalgia. "Berlinguer riempie anche oggi gli spazi dei social network e il web, è diventato un'icona atemporale di cui si è appropriato anche il Movimento 5 Stelle, anche se spesso è sconosciuto nella sua reale dimensione politica. Basti pensare che la parola più associata a Berlinguer è onestà.

Questa mitizzazione è un'operazione iniziata fin da quando era in vita, Berlinguer ha subito una progressiva trasformazione in figura pop. La questione morale e l'austerità sono le due parole chiave più legate alla mitografia astorica di Berlinguer. Con la sua morte si compie il disegno di santificazione. Anche la riscoperta di Berlinguer negli ultimi anni è diventato uno scontro sulla sua eredità politica, tra il Pd e i grillini in occasione delle elezioni europee di un anno fa. Anche il recente film di Walter Veltroni isola Berlinguer nel pantheon della nostalgia, la chiave di lettura che ancora una volta prevale è quella della memoria, come testimoniano le parole di Jovanotti. Ma Berlinguer non è solo questo, è stato un politico immerso in un progetto e con alle spalle un popolo".

Più politica la disamina di Pierluigi Bersani: "Come facciamo a raccontare alla nuova generazione che si affaccia alla politica Enrico Berlinguer? Rischia di prevalere un contenuto prettamente sentimentale, con la sua agonia, i funerali, la sua figura minuta che ispira senso di protezione. Ma lui s'incazzerebbe nel vedersi dipinto solo così oggi, perché separarlo dalla politica e dal Pci è un'assurdità.

Siamo ancora in quella storia, non c'è un'interruzione. Berlinguer è stato il primo segretario del Pci della nuova generazione, che non ha fatto la Resistenza, lui entra in scena negli anni '60 in un cambio di fase: quando si chiude il dopoguerra che ha imparentato l'Italia con la democrazia, cresce il Pil e allo stesso tempo si accorcia la forbice sociale, soprattutto grazie ai partiti.

Sono gli anni di un nuovo fermento sociale diffuso nella società, ma anche gli anni di una nuova percezione dell'andamento economico di una crescita non lineare. Berlinguer ha colto questo passaggio di fase e il rischio di un impasse, da qui la necessità di prendere strade nuove, nel solco della democrazia.

Berlinguer non è convinto di un approdo socialdemocratico, ma tuttavia c'è un rapporto che si salda con le forze del socialismo europeo soprattutto con la Spd. Ma la preoccupazione maggiore di Berlinguer era rivolta all'Italia, con il pericolo di una soluzione reazionaria. Non era certo una preoccupazione irrazionale, visto il contesto di quegli anni, da qui la proposta del compromesso storico per evitare che si saldassero i moderati con la reazione.

Quel progetto non si realizzò, ma non fu un fallimento, perché si pose un argine alle fughe estremistiche e si aprì una fase riformatrice in Italia. Hanno cominciato a circolare idee nuove. Con la morte di Moro sul piano politico la proposta del compromesso storico subì una sconfitta. Con l'alternativa democratica si aprì una fase dove il Pci si pose in difesa, chiudendosi in un profilo identitario. Il governo diventó una palude, in un sistema bloccato. E' da quella stagione che è iniziato il discredito della politica che subiamo ancora oggi, le scorciatoie demagogiche e le soluzioni leaderistiche, e non siamo in condizione di proporre un'idea compiuta di politica. Quale dunque l'insegnamento di uno come Berlinguer? Che la politica deve mantenere rapporti costanti con la morale e con la cultura, e poi lasciatemelo dire: un po' di coerenza tra le parole e i fatti".

 

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